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Giovanni Bilivert  - Asta DIPINTI ANTICHI - Associazione Nazionale - Case d'Asta italiane
33

Giovanni Bilivert

 Giovanni Bilivert
(Firenze, 1585-1644)
ANGELICA E RUGGERO
olio su tela, cm 119,5x151,5

Provenienza
Collezione Ganucci Cancellieri (cartellino sul retro della tela, riprodotto qui in basso)

Bibliografia di riferimento
R. Contini, Bilivert: saggio di ricostruzione, Firenze 1985, pp. 82-85;
E. Fumagalli in L’ arme e gli amori: la poesia di Ariosto, Tasso e Guarini nell’arte fiorentina del Seicento, catalogo della mostra, Livorno 2001, p. 211, scheda 79;
R. Spinelli in Palazzo degli Alberti. Le collezioni d’arte della Cariprato, a cura di A. Paolucci, Milano 2004, pp. 84-87, scheda 22.

La tela è un’inedita versione del dipinto che Giovanni Bilivert dipinse, secondo la testimonianza di Baldinucci, “circa all’anno 1624” per il cardinale Carlo de’ Medici, descrivendolo come “la favola di Ruggeri” (F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, ed. anastatica a cura di P. Barocchi, Firenze 1974-1975, vol. IV, pp. 305-306).
Notevole è stata la fortuna riscossa dall’opera, destinata dal cardinale della famiglia Medici al casino di San Marco e oggi nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti di Firenze: si conoscono infatti altre tre redazioni del soggetto, due delle quali, facenti parti della collezione della Cassa di Risparmio di Prato e della galleria degli Uffizi, ritenute autografe. La terza, conservata presso il museo di Belle Arti di Digione, è probabilmente opera di bottega, se pur di buon livello.
I temi dell’epica ariostesca furono ampiamente presi a prestito dalla pittura barocca e rivestiti di un’interpretazione moralizzata. Lo sfrenato desiderio che si impossessa di Ruggero alla vista delle nudità della bellissima Angelica, veniva dunque letto, all’interno di una quadreria seicentesca, quale esempio di follia provocata dalla passione e dal vizio.
Bilivert interpreta con assoluta fedeltà i versi conclusivi del canto X dell’Orlando Furioso di Ariosto, restituendo la foga con cui il paladino cristiano si sta accingendo a spogliarsi dell’armatura, dopo aver salvato da una mostruosa orca Angelica, incatenata nuda a uno scoglio, e averla portata in salvo facendola salire sull’ ippogrifo che si scorge sullo sfondo. Spaventata dalle intenzioni di Ruggero, la ragazza ricorre nuovamente all’anello magico, grazie al quale già era riuscita a sfuggire all’orca, portandoselo prontamente alla bocca e rendendosi così invisibile anche al nuovo assalitore.
A differenza della versione della Palatina, considerata l’archetipo, il nostro dipinto, così come le altre redazioni citate, presenta Angelica nuda, secondo la descrizione ariostesca, documentando presumibilmente l’aspetto originale della composizione concepita da Bilivert: è stato infatti supposto che il panno che ricopre l’eroina nella tela della raccolta museale fiorentina sia stato aggiunto in seguito alla censura da parte della madre del cardinale Carlo, Cristina de’ Medici, come si desume da una divertente pagina, ritenuta autografa del pittore di origine fiamminga, contenuta in un codice miscellaneo della Biblioteca nazionale di Firenze.
Anche nella tela qui offerta, Giovani Bilivert dimostra le sue doti di grande colorista: spicca il rosso della camicia di Ruggero e del suo giubbone gettato a terra che fa da contrappunto all’armatura percorsa da bagliori dorati. Rispetto alle altre redazioni inserisce alcune varianti nella resa dell’aspetto del paladino, che appare qui ancor più un giovinetto in preda ai suoi impulsi, e nella definizione del fondale naturalistico.



DIPINTI ANTICHI
mar 15 MAGGIO 2018
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