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Alessandro Turchi, detto l’Orbetto

 Alessandro Turchi, detto l’Orbetto
(Verona, 1578 – Roma, 1649)
SANSONE E DALILA
olio su tela, cm 132x158

SAMSON AND DELILAH
oil on canvas, cm 132x158

Sul telaio, etichetta della mostra “Cinquant’anni di pittura veronese”

Esposizioni
Cinquant’anni di pittura veronese, a cura di Licisco Magagnato, Verona, Palazzo della Gran Guardia, 3 agosto – 4 novembre 1974, n. 100.

Bibliografia
R. Longhi, Presenze alla sala Regia, in “Paragone” 1959, 117, p. 38 e fig. 23; C. Donzelli – G.M. Pilo, I pittori del Seicento Veneto, Firenze 1967, p. 401; N. Barbanti Grimaldi, Il Guercino, Gian Francesco Barbieri 1591-1666, n. 109; D. Kelescian Scaglietti, Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, in Cinquant’anni di pittura veronese, catalogo della mostra, Venezia 1974, p. 124, n. 100, fig. 121.

L’opera sarà inclusa nella monografia a cura di Daniela Scaglietti Kelescian in preparazione per Scripta Edizioni, Verona.

“Nella galleria Gherardini (…) ho trovato bellissime cose dell’Orbetto (…) Mi piace lodare il concetto di un quadro. Non si tratta che di due mezze figure: Sansone nel punto in cui si è addormentato in grembo a Dalila. Costei tende lievemente la mano sopra il capo di lui per afferrare le forbici che stan sul tavolo accanto alla lampada. L’esecuzione è di gran valore”.
Così nel settembre 1786 Goethe annotava nel suo giornale a proposito della tappa veronese del viaggio in Italia che lo aveva condotto presso i discendenti di quel marchese Gherardini che, dopo la partenza per Roma dell’Orbetto, si era fatto promotore delle sue opere presso la committenza laica ed ecclesiastica della città. Sebbene lontano, Alessandro Turchi aveva ornato delle sue tele anche la galleria del suo protettore, tanto che nel 1719 Bartolomeo Dal Pozzo la descriveva come molto ricca in composizioni dell’Orbetto; tra queste, per l’appunto un “Sansone in braccio a Dalila”.
Fu Roberto Longhi a citare il passo del Viaggio in Italia a proposito del nostro dipinto, da lui rintracciato in una collezione bolognese: una proposta suggestiva ma da accogliere con qualche riserva, considerata l’esistenza di altre versioni di questo soggetto e, viceversa, la mancanza di documentazione circa la provenienza originaria del dipinto qui offerto.
Che si trattasse di un soggetto molto richiesto e che l’Orbetto lo avesse proposto in composizioni diverse anche per numero di figure e momento della “attione” lo si deduce innanzi tutto da citazioni inventariali tra Sei e Settecento: la più antica si riferisce alla collezione veronese di Giovanni Pietro Curtoni, dove nel 1656 sono censiti sei quadri del Turchi, tra cui per l’appunto un Sansone e Dalila le cui tracce si perdono a Venezia nel 1729, secondo quanto ricostruito da Tomaso Montanari e più recentemente da Davide Dossi.
A Roma, il cardinal Flavio Chigi possedeva un quadro di uguale soggetto in tela d’imperatore, come recita l’inventario del 1692, e dunque più piccolo del nostro; anche il cardinale Pietro Millini aveva un “Sansone e Dalila con le forbici” insieme ad altri sei quadri dell’Orbetto, ma la descrizione inventariale rimanda a una scena con molte figure.
In effetti, anche i cataloghi delle vendite tenute a Parigi e a Londra nella seconda metà del Settecento e nel primo Ottocento testimoniano del passaggio sul mercato europeo di due modelli diversi per questo soggetto, replicati anche su pietra di paragone oltre che su tela.
Attualmente, conosciamo altre due versioni della composizione qui offerta: una copia antica nella galleria di Stoccarda e una replica di bottega venduta a Londra da Sotheby’s il 15 febbraio 1989 (n. 70). Più numerose e variate tra loro nel numero delle figure le redazioni in cui Dalila fa cenno ai Filistei di entrare nella stanza dove Sansone giace addormentato e ormai inoffensivo (cfr. Alessandro Turchi detto l’Orbetto. 1578-1649. Catalogo della mostra a cura di Daniela Scaglietti Kelescian, Milano 1989, n. 34, p. 140). Ancora mancanti all’appello sono invece le versioni su pietra, apparentemente corrispondenti a questa seconda composizione (The Getty Provenance Index).
Splendido esempio di quel naturalismo temperato dall’esempio dei pittori bolognesi, cifra costante di Alessandro Turchi nel periodo della sua maturità a partire dal terzo decennio del secolo, il dipinto qui offerto si iscrive senza dubbio tra i capolavori dell’artista veronese nella riduzione dell’evento drammatico alle sole figure dei suoi protagonisti. Una formula molto adatta alle sue qualità espressive, già sperimentata dall’artista nel più antico Giuseppe e la moglie di Putifarre (Alessandro Turchi…. 1999, p. 32, fig. 36) e che troverà il suo esito più felice nel bellissimo Adone morente, forse l’opera più celebrata del Turchi. Ne è un documento prezioso anche lo splendido e ancora inedito Bacco e Arianna venduto in questa sede nel novembre 2017.



DIPINTI ANTICHI
mar 13 NOVEMBRE 2018
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