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Arte Moderna e Contemporanea

Arman : FERNANDEZ ARMAN  - Asta Arte Moderna e Contemporanea - Associazione Nazionale - Case d'Asta italiane
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Arman

FERNANDEZ ARMAN

 FERNANDEZ ARMAN
(Nizza 1928 - New York 2005)
Senza titolo APA#8110.03.005
2003
ukulele a fette con tubi di vernice e vernice acrilica (rosso cadmio) su tela nera
cm 82x60,5
a retro etichetta Arman Studio, New York

Untitled APA#8110.03.005
2003
sliced ukulele with paint tubes and acrylic paint (cadmium red) on black canvas
cm 82x60,5
on the reverse label of Arman Studio, New York

L'opera è registrata presso l'Archivio Denyse Durand-Ruel, con il numero n. 7661

Arman si evidenzia, fin dall’inizio, come un “genio” irrequieto e nomade. Fa parte del suo carattere il continuo bisogno di fare, viaggiare, cambiare residenza, accumulare e distruggere, entrare in contatto con altri artisti con cui instaurare dialoghi profondi e amicizie importanti. Un modo di essere condiviso con la sua generazione, un gruppo di persone mai ferme e pienamente rappresentanti lo spirito del tempo, dell’avanguardia, del cambiamento. I primi lavori di Arman non si discostano troppo dalla pittura astratta in stile Poliakoff – De Stael. Ma dura poco. GiaÌ nel 1953 si interessa alla grafica e alla stampa, ovvero a un meccanismo di ripetizione, studiando in particolare la tipografia dell’olandese Hendrik Nikolaas Werkman, designer della rivista Art d’aujourd’hui. Nel 1954 scopre il cosiddetto Cachet, forma post-pittorica ottenuta mediante l’impressione su carta con tamponi a inchiostro da ufficio. La sua personale d’esordio, alla Galerie Haut-Paveì di Parigi nel 1956, accosta le ultime pitture astratte ai primi Cachets, che rappresentano la negoziazione della definitiva uscita dall’arte di matrice espressionistico-gestuale per approdare a metodologie oggettuali in direzione del concettuale. L’insistere di Arman sul carattere tipografico e sulle date dei timbri postali anticipa le esperienze di Mail Art degli anni Settanta e, allo stesso tempo, riprende la pubblicistica del Situazionismo (manifesti, proclami, libri ecc...). Un linguaggio che si estenderà fino alla grafica “punk” di Jamie Reid, non a caso formatosi sulle pagine delle prime avanguardie di cui riadatta gli stilemi in chiave popolare e iper- trasgressiva. Appena successive ai Cachets sono le Allures (1958-’59), tracce, impronte di oggetti inchiostrati o colorati, per una pittura che ha perso completamente peso, interrogativo cui lavora in sincronia altri artisti aderenti al Nouveau Realisme - Yves Klein, Geìrard Deschamps, Jean Tinguely- e che esperisce ulteriormente il bisogno di lasciarsi alle spalle la lunga stagione dell’informale. Vero e proprio “marchio Arman” –e vertice creativo nella storia appena cominciata del gruppo messo insieme da Pierre Restany- eÌ l’invenzione delle Accumulations, dove si manifesta tra le righe, come contraltare al Pop ortodosso e ottimista della versione americana, il criticismo sull’oggetto e sugli sprechi nella società neo-consumista. Il primo confronto reale tra queste due differenti “ideologie” soggiace in una delle mostre “chiave” dell’epoca, ordinata presso la Sidney Janis Gallery di New York nel 1962 (e di liÌ a poco Arman stipuleraÌ un contratto d’esclusiva con la prestigiosa galleria, noncheì l’inizio del suo rapporto stabile con gli Stati Uniti, dove prende l’abitudine di soggiornare circa sei mesi l’anno). The New Realists presenta immagini e oggetti prelevati nell’ambito della cultura di massa e della vita quotidiana. Da una parte il Pop: una bombola di gas (Dine), fumetti (Lichtenstein), barattoli di zuppa Campbell (Warhol), biancheria femminile (Oldenburg). Dall’altra il Nouveau Realisme: un frigorifero (Tinguely), dei manifesti pubblicitari (Hains, Rotella), dei rubinetti (Arman). (…)A ben vedere le Accumulations hanno forse un’altra origine più privata per Arman. Ovvero il suo eterno incontro-scontro con il genio di Yves Klein, punto di riferimento, stimolo, continuo rispecchiarsi l’uno nell’altro, ma anche ragione di forte competizione. Arman e Klein si conoscono a Nizza nel 1947 durante un corso di judo e si frequentarono molto in quegli anni, fino alla prematura scomparsa di Yves “le monochrome” avvenuta nel 1962. Per amicizia e stima Klein introduce Arman nella sua galleria parigina, Iris Clert, dove aveva compiuto l’operazione piuÌ estrema fino ad allora mai inscenata nell’arte, ovvero la celeberrima mostra “del vuoto” (aprile-maggio 1958). Di contro, forse per reazione, Arman, nell’ottobre 1960, installa il progetto dal titolo Le plein: aiutato da Martial Raysse ostruisce l’ingresso e stipa le sale della Galerie Clert con oggetti di scarto. La mostra, che viene chiusa in anticipo a causa del deterioramento di alcuni materiali, presenta anche le prime Accumulations. Da niente a tutto, forse ci vorrebbe un analista per spiegare il senso di tale operazione. Resta il fatto che Arman amava molto l’amico Yves, al punto da dedicare a lui e alla moglie Rotraut Uecker, artista aderente al Gruppo Zero, la celeberrima coppia di Portait Robot per il loro matrimonio officiato a Parigi il 21 gennaio 1962 presso la chiesa di Saint- Nicolas-des-Champs. Nel Portrait Robot di Klein, in particolare, eÌ contenuto l’abito da cavaliere dell’Ordine di San Sebastiano completo di spada e cappello, un rullo per le antropometrie, una pistola per l’idropittura e alcune fotografie. Particolare curioso, Christo decise ugualmente di omaggiare gli sposi con un ritratto, un dipinto molto classico, in cornice d’oro, che non rivela certo quello che sarà il linguaggio del celeberrimo “impacchettatore”, esposto in permanenza nella “sala Klein” al MAMAC di Nizza. (…) Infine le Inclusioni, altro tema forte e ritornante nella lunga carriera di Arman, dove
l’oggetto eÌ imprigionato, costretto a non poter più progredire neì a corrompersi. Con un gesto profondamente laico, Arman si prende il diritto di decidere quando interrompere un processo, anche se attuato prevalentemente su cose inanimate che comunque sono metafora di un qualcosa che riguarda l’essere vivente –e che Damien Hirst svilupperaÌ brillantemente a partire dai primi anni Novanta. Saltano dunque il ciclo vitale, la biologia, la crescita, il degrado, la corruzione e, di conseguenza, la morte, diversamente che in Daniel Spoerri il quale preferisce fissare un frammento, bloccarlo, cristallizzare l’evento, attuare una glaciazione del reperto. Spoerri toglie l’aria, colloca sotto vuoto, eppure paradossalmente basterebbe una rottura del sistema protettivo a rimettere tutto in gioco. In Arman l’inclusione eÌ definitiva: l’arbitrarietà dell’uomo (e dell’artista) si eÌ sostituita a quella di una qualsiasi entità suprema, se mai esistesse. Il tutto si gioca qui, esistendo, nel credo laico dell’arte. (…)

Luca Beatrice ARMAN Palazzo Brichesario Torino 2008 Casa Editrice Cudemo Bordighera.




Arte Moderna e Contemporanea
lun 10 GIUGNO 2019
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