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GENNARI CESARE (1637 - 1688)

La visione di San Girolamo.

 L'opera è accompagnata dalla scheda a cura di Alessandro Brogi, febbraio 1995. Evidente e certa appare l'estrazione guercinesca del dipinto, di qualità sostenuta e di energica invenzione, che pur senza dipendere alla lettera da un preciso modello del Guercino, presenta sul piano stilistico una spiccata adesione ai modi elaborati dal grande pittore emiliano nella fase centrale della sua carriera. Ovvero, al nobile compromesso da egli raggiunto a partire dagli anni Trenta del Seicento fra il naturalismo appassionato della giovinezza e le istanze idealizzanti del moderno classicismo bolognese di matrice reniana. Una tale adesione la si ritrova, a questo livello di qualità, solo nella più stretta cerchia del pittore, negli artisti formatisi all'interno della sua bottega bolognese e, segnatamente, nell'opera del nipote Cesare Gennari (Cento, 1637 - Bologna, 1686), ''il più vivo e fecondo fra i tanti Gennari, allievi del Guercino'' (N. Clerici Bagozzi, 1986): autore al quale il dipinto può essere verosimilmente riferito. Erede, dopo la morte dello zio di cui era stato anche collaboratore, della sua affermatissima bottega insieme al fratello maggiore Benedetto, Cesare, diversamente da quest'ultimo trasferitosi prima presso la corte di Francia e poi alla corte d'Inghilterra, visse tutta la sua esistenza a Bologna. Anche per questo il suo linguaggio si distingue da quello più internazionale del fratello per il permanere - ricordo vivo del più vigoroso Guercino della seconda maniera - di accenti naturalistici che si esprimono in un sempre acceso e mobile contrasto chiaroscurale, e di una sottesa vena di calda passionalità da cui discendono a loro volta l'ampiezza del gesto e dell'invenzione e la densità della tavolozza. Aspetti, tutti quanti, che caratterizzano, mi sembra, il dipinto in esame, agevolmente confrontabile con opere certe e relativamente giovanili del pittore, scalabili nell'arco degli anni Sessanta del Seicento. Si vedano il precoce Martirio di Santa Caterina del 1660 circa (Cento, Pinacoteca), la Santa Rosa da Lima del '65 circa (Bologna, San Domenico), e soprattutto la Maddalena penitente a tutta figura (Cento, Pinacoteca), dove tornano simili lo slancio nobile e largo del gesto, il fondo un po' sfatto di cielo e di frasche o il teschio, in tutto identico, dal sincero risalto naturalistico. e ancora, la bella Giustizia della Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma, attribuita al pittore già nel secolo scorso, che pur nella radicale disparità iconografica esibisce lo stesso impasto, insieme solido ed eletto, degli incarnati, la stessa evidenza lucida delle forme risaltate dalla luce, o un analogo fluire dinamico e falcato dei panni.Benchè, nonostante le grandi dimensioni, non abbia trovato menzione del dipinto nelle fonti antiche del pittore, penso tuttavia che esso, alla luce, di quanto sopra, sia ragionevolmente da inserire nel non troppo nutrito catalogo dei Cesare, probabilmente verso il 1670.Bibliografia di riferimento: N. Clerici Bagozzi, Una traccia per Cesare Gennari, in Paragone, 419-423, 1985. N. Clerici Bagozzi, in L'Arte degli Estensi, catalogo della mostra, Modena, 1986. P. Bagni, in Benedetto Gennari e la bottega del Guercino, Bologna, 1986.

ASTA 345 ARTE ANTICA
mar 14 DICEMBRE 2021
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