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Arte Moderna e Contemporanea [Parte II]

321

Giulio Aristide Sartorio

 1890.

Raccolta di 32 disegni originali a tempera su carta, in buona parte applicati su cartoncini e recanti didascalie manoscritte. mm 140/320x100/245. Quattro siglate G.A.S: lungo il margine dell'opera. Si tratta della maggior parte delle illustrazioni nel testo e fuori testo per Le feste romane di Ruggero Bonghi, edito a Milano da Hoepli nel 1891. Il libro offre una descrizione dettagliata, divisa per ogni mese dell’anno, delle feste e le celebrazioni religiose romane antiche come le Saturnali, le Lupercali, le Calende e molte altre dalla fondazione di Roma fino alla fine dell'Impero romano. Bonghi fu un illustre politico e letterato italiano, deputato e ministro dell’istruzione durante il governo Minghetti.
La difformità stilistica dei disegni porta a ipotizzare che a Ugo Fleres spettino solo vari capilettera e poco più, mentre le illustrazioni destinate alle tavole fuori testo e buona parte delle testate siano di mano di Giulio Aristide Sartorio anche se il suo monogramma compare solo in alcune. Ugo Fleres, noto poeta, scrittore e critico nonché direttore della Galleria d’Arte Moderna di Roma per numerosi anni, aveva frequentato a Napoli lo studio di Domenico Morelli ed era anche un abile disegnatore. Amico di Giovanni Verga, Luigi Capuana e Luigi Pirandello, illustrò Le Elegie romane tradotte da quest’ultimo e pubblicate nel 1896 dall’editore Giusti.
È indubbio che la collaborazione di Sartorio costituisca l’aspetto più rilevante nell’impresa illustrativa, malgrado questo suo contributo sia sfuggito finora ai riflettori dei massimi esperti, forse perché ritenuto di minore importanza sia rispetto al suo antecedente contributo “bizantino” all’editio picta dell’Isaotta Guttadauro di Gabriele d’Annunzio (1886) che ad altri lavori più maturi e significativi come Christus e Sibilla di parecchi anni successivi. L’edizione a stampa delle Feste romane inoltre non rende giustizia alla qualità dei disegni originali oggi rinvenuti per la prima volta consentendoci quindi di apprezzarne maggiormente il valore e soprattutto alcune caratteristiche molto interessanti relative a una fase cruciale nell’evoluzione dell'arte sartoriana. Nel 1889 l’artista aveva intrapreso un viaggio a Parigi accompagnato da Francesco Paolo Michetti che gli aveva fatto conoscere la pittura di paesaggio della scuola di Barbizon, con lo scopo di aprirgli nuovi orizzonti oltre il formalismo della cultura accademica e pompier da cui era ancora in parte condizionato. Nell’anno seguente, durante il soggiorno abruzzese ospite di Michetti a Francavilla a Mare, Sartorio veniva spinto dall’amico a ritrarre dal vero scorci di campagna e nacque una serie di pastelli lunghi e stretti dall’orizzonte ribassato il cui taglio caratteristico lo si ritrova anche in alcune illustrazioni per le testate delle Feste romane.  L’argomento del libro di Bonghi conferiva una valenza ancor più nobilitante alla percezione panica e nostalgica che l’artista aveva della campagna romana sentita come “teatro del più grande impero del mondo” e memoria leggendaria delle sue antiche glorie. Due tra le illustrazioni per le tavole di dimensioni più grandi risultano eseguite al verso di frammenti del manifesto pubblicitario per l’amaro Corfinium realizzato con erbe aromatiche del Gran Sasso e della Maiella. Michetti aveva ideato il disegno con figure vascolari greche per l’etichetta della bottiglia e probabilmente spettò a lui anche l’esecuzione del manifesto, pur non essendo firmato. Pertanto questa coincidenza fa ipotizzare che le illustrazioni per Le feste romane siano state realizzate da Sartorio proprio a Francavilla in stretta vicinanza con il pittore abruzzese. Nelle illustrazioni fuori testo si ritrovano inoltre alcuni elementi di particolare rilievo come nella tavola raffigurante il flamine quirinale e le vergini vestali in cui compare, forse per la prima volta, la statua di Artemide Efesia conservata al museo archeologico nazionale di Napoli, un topos simbolico particolarmente significativo che Sartorio pose al centro del dipinto dal titolo Gli uomini e le chimere, una grande tela di oltre otto metri, sul modello della precedente opera I figli di Caino premiata a Parigi nel 1889. Secondo la descrizione che ne fece proprio Ugo Fleres nel 1890 questa prima versione ritraeva la Diana di Efeso come un idolo primitivo circondato da uomini e donne nudi immersi nel sonno. Non soddisfatto del risultato, Sartorio rifece poi a Weimar il celebre dipinto Diana d’Efeso e gli schiavi ultimato nel 1899 e oggi alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Nella tavola delle donne latine che compiono il rito di lavare la statua di Venere, la figura femminile sulla sinistra con un vaso tra le mani si ritrova in modo quasi palmare, sempre all’estrema sinistra, nel trittico Le vergini savie e le vergini stolte commissionato a Sartorio da conte Primoli nel 1890 e di essa potrebbe costituire l’antecedente. Anche la teoria processionale di vergini recanti ghirlande per la festa di Flora delineata in un’altra tavola del libro rivela qualche similarità con il suddetto trittico che rappresenta la prima decisiva svolta simbolista nell’arte di Sartorio, in parallelo con la formulazione di una nuova concezione spirituale della natura attraverso il cosiddetto “paesaggio stato d’animo”, trasmessa da Nino Costa agli affiliati del gruppo romano In Arte Libertas a cui l’artista aderì a partire dal 1890. Questi due aspetti sono percepibili anche nelle illustrazioni delle Feste romane particolarmente permeate dall’aura sacrale del mondo classico antico, congeniale alla passione antiquaria dell’artista che frequentava i musei ed era appassionato di storia e archeologia greco-romana. In alcune tavole infine si possono scoprire certi accenti decorativi attraverso le pose euritmiche di giovinetti nudi o seminudi dai corpi agili e longilinei in cui pare riaffiorare qualche ricordo di Fortuny e che costituiranno in futuro una tipica cifra sartoriana. Sempre Ugo Fleres definiva a quel tempo l’artista amico come uno “sceglitore sapiente, assimilatore felice, ricco d’un patrimonio d’immagini e di nozioni che lo fanno dipingere piuttosto con aristocratica delizia, anziché con schietta commozione” (U. Fleres, Prima esposizione della città di Roma, in “Archivio Storico dell’Arte”, V-VI, 1890, p. 243). La stessa tecnica a grisaille delle illustrazioni originali a tempera, forse utilizzata perché più adatta per la riproduzione fotomeccanica tramite i cliché monocromatici, prelude a una scelta estetica che Sartorio applicò diversi anni dopo ai grandi pannelli decorativi come il Fregio della Sala del Lazio, realizzato nel 1906 per l’Esposizione Internazionale del Sempione.



Arte Moderna e Contemporanea [Parte II]
mar 14 MAGGIO - gio 16 MAGGIO 2024
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